Ecco il mio diario di viaggio in Perù, un tour da Lima a Cusco, passando per Paracas, Nasca, Arequipa, il cañon del Colca, il Titicaca, Cusco, la valle Sacra e Machu Picchu. Ovviamente non è mancata la salita del Vinicunca, la montagna arcobaleno e il soggiorno nella magica Taquile. 15 intensi giorni per vivere e gustare il Perù.
Il Mio Diario di Viaggio in Perù
1° giorno: Arrivo a Lima
Mi piace sempre ritornare in Perù, così come in tutti i Paesi del Centro e Sud America in cui opero. E’come ritrovare un vecchio amico. Il rapporto con i luoghi, gli odori, i colori sono talmente consolidati, che riprendere contatto con la realtà locale è sempre molto facile, sembra sempre che il viaggio precedente non sia mai, in realtà, terminato.
Penso in volo alle tante cose che è possibile visitare in Perù (qui ho fatto una selezione di 39 imperdibili posti del Perù che consiglio di vedere) ; sicuramente potrebbero essere anche molti di più, ma non potevo scrivere una guida completa!
Questa volta l’occasione di ritornare in Perù mi viene data dalla possibilità (e dalla volontà) di testare in prima persona nuove strutture e servizi che poi proporrò nei miei viaggi.
E’ settembre, volo con KLM. Malgrado un lieve ritardo alla partenza da Amsterdam, atterro a Lima in orario, poco dopo le 18. E’già buio, ma già mi pregusto la cena che mi attende.
Il Perù, come l’Italia e la Francia, offre infatti una delle migliori cucine a livello mondiale e qui lavorano alcuni degli chef più famosi del Pianeta. Pensa che questo Paese ha vinto per ben 8 anni di fila il riconoscimento World Travel Awards come migliore destinazione culinaria al mondo.
Un veloce transfer mi porta all’hotel Casa Andina, il mio primo test, un ottimo albergo a Miraflores, un quartiere residenziale che si affaccia sul Pacifico e che alterna edifici moderni a parchi e giardini.
Il tempo di lasciare la mia inseparabile borsa/zaino in albergo e mi ritrovo già sulla strada che mi condurrà a Barra Maretazo, il ristorante scelto per la prima serata in Perù. Per sicurezza ho prenotato prima di partire tramite il sito, confidando che KLM arrivasse in orario. Se ti piace il pesce, il Perù è il posto adatto a te. Le sue acque ne sono ricchissime, tanto che il 10% del pescato mondiale proviene da questo Paese.
Per cui approfittane, in particolare a Lima con il suo Terminal Pesquero, il mercato ittico più grande del Paese (vale una visita, ma devi andare all’alba per gustarlo in pieno).
Barra Maretazo è molto accogliente, i camerieri simpatici e molto alla mano; faccio un veloce rientro negli usi e costumi peruviani con un pisco sour (uno dei più deliziosi cocktail sudamericani) rivisitato e offerto dalla casa, per dedicarmi poi nell’ordine a un misto di ceviche (pesce fresco marinato), seguito da arroz con mariscos (riso con frutti di mare, una sorta di paella peruviana), il tutto condito con una eccellente cerveza artesanal.
Se vuoi approfondire dal mio blog:
√ Lima, cosa vede, cosa fare >>
2° giorno: Lima
Oggi mi attendono una serie di impegni lavorativi, ma mi sono imposto di terminare in tempo per immergermi in due posti che mi rilassano molto. E’quello che ci vuole dopo un’intensa giornata di incontri, di programmazioni, di confronti. Tengo sotto controllo l’orologio per evitare di essere sopraffatto dagli eventi e mi ritrovo così, nel tardo pomeriggio, nel Parque del Amor, un magnifico giardino nel quartiere Miraflores, in tempo per godermi il tramonto (immancabilmente romantico) sul Pacifico.
Se sei stato a Barcellona e ti sei goduto le opere di Antoni Gaudí, non ti sfuggiranno le somiglianze dei colorati mosaici che adornano i muri ondulati e le panchine che si affacciano sul Pacifico, con quelli presenti nella capitale catalana, opera del grande architetto.
Mi faccio un selfie presso la celebre scultura “El Beso” (Il Bacio), che si trova al centro del Parco, dedicata al gesto più romantico del mondo, simbolo per eccellenza dell’amore, e lo whatsappo a Anna, mia moglie, rimasta a casa.
Da qui, camminando lungo una serie di calle, cercando costantemente quelle più tranquille e poco trafficate, mi porto verso il vicino barrio de Barranco. Se sei alla ricerca di un quartiere un po’ bohemien di giorno che si trasforma, dall’ora dell’aperitivo, nel regno della movida di Lima, eccoti accontentato. A tua disposizione bar, ristoranti, locali dove viene suonata la musica più disparata. Qui puoi ammirare, tra l’altro, alcuni dei migliori murales della capitale.
Già che ci sono attraverso, trattenendo il fiato, il Ponte dos Suspiros, uno dei punti più caratteristici del quartiere. La leggenda dice che se percorri i suoi 44 metri senza respirare, il desiderio che hai espresso prima di questa “impresa” verrà esaudito. Sarà, tentar non nuoce dice il proverbio, no?
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Mi aggiro per Barranco, nato a metà dell’Ottocento come villaggio di pescatori e diventato poi, nel giro di poco tempo, una località estremamente attraente per i vacanzieri della classe medio-alta di Lima e gli stranieri in generale, alla rierca del Mérito, un ristorante ancora poco conosciuto. Qui mi faccio convincere dal cameriere per un Tiradito conchas en Jalapeño, praticamente pesce crudo servito con una salsa piccante con peperoni Jalapeño, nativi del Messico e noti per il loro essere aromatici e moderatamente piccanti. Delizioso!
3° giorno: Lima – Paracas (Km 245 – circa 4 ore di viaggio)
Sto ammirando dal finestrino del bus il deserto lungo la costa del Pacifico, che mi accompagna subito dopo avere lasciato la capitale. Mi trovo sul comodissimo Cruz del Sur, che copre la tratta Lima – Paracas, 250 chilometri a sud della capitale, e ricordo la prima volta, parlo degli anni ’90, che ho ammirato questo paesaggio. Non volevo credere a quello che vedevo, confesso che non ero preparato.
Mi immaginavo un Perù verdeggiante, con slanciate vette andine, la lussureggiante foresta da cui sbucava Machu Picchu, altopiani e luccicanti laghi, ma non avevo fatto i conti con il Pacifico. Una zona arida, prolungamento del deserto di Sechura, avvolta nella garua, la fredda nebbia che permea le coste dell’Ecuador meridionale, del Perù e del Cile settentrionale. Il bello è che in questo territorio, apparentemente inospitale, sono prosperate diverse culture pre-colombiane, tra cui quella di Nasca.
Sul bus faccio la conoscenza con una coppia di simpatici brasiliani, così le circa tre ore del viaggio volano. Arrivo, il tempo di sistemarmi all’hotel Hacienda Bahia Paracas e sono già fuori. E’ora di pranzo ma chiedo al mio stomaco di pazientare ancora un attimo prima di mettersi al lavoro.
Noleggio un taxi, così posso farmi portare dove voglio dettando i miei tempi e mi ritrovo, subito dopo, dentro la Riserva, che tutela gran parte della penisola. Prima sosta a Languinillas, l’unico posto all’interno dell’area protetta, dove si può mangiare a qualsiasi ora della giornata. Ordino un piatto di jalea, una frittura di calamari e frutti di mare, che bagno con del lime. Un gruppo di pellicani sonnecchia poco distante.
La Riserva di Paracas offre splendide spiagge, dove sdraiarsi a prendere il sole o lungo cui camminare per chilometri. E’ quello che faccio sulla Playa la Mina, poco distante da Languinillas; approfitto della bassa marea per percorrere, Birkenstock in mano, un lungo tratto della spiaggia. L’acqua dell’oceano è fresca (uso un eufemismo), sicuramente non adatta (almeno per me) per una nuotata, a meno di essere d’indole nordica.
Però il caldo dell’aria rende decisamente piacevole lo sciaguattare con i piedi nel Pacifico. Mi metto a osservare degli uccelli limicoli. Sorrido guardando il loro andirivieni che segue il flusso dell’oceano: si rifugiano all’asciutto quando sale l’onda, per seguire il suo ritrarsi sondando la sabbia con il loro becco, alla ricerca di molluschi e altri invertebrati. Di tanto in tanto passano squadriglie di pellicani, volando radenti sull’acqua. Così vola il tempo e rientro in albergo che è già quasi buio.
La sera grande cena al Chalana, un bel ristorante su una rotonda, che serve pesce a km 0 (quello della Riserva è uno dei mari più pescosi del Perù); la freschezza della materia prima emerge con prepotenza, in particolare nel ceviche. Notevoli anche le causas di pesce, un piatto a base di patate.
4° giorno: Paracas – Nasca (km 225 – circa 4 ore di viaggio soste escluse)
Alle isole Ballestas, le Galapagos del Perù, come vengono soprannominate queste isole per la ricchezza di animali, non è possibile scendere a terra. Seduto nella barca osservo così dei sonnecchiosi leoni di mare sdraiati sugli scogli, diverse sule piediazzurri (tra i miei uccelli preferiti), alcuni pinguini (hai letto bene, pinguini), unitamente a una quantità incredibile di chiassosi uccelli, che farebbe la gioia di qualsiasi bird watcher.
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Non posso che pensare all’incredibile puzzle della natura dove, in ogni ambiente, ogni specie ha una propria specializzazione (nicchia alimentare) grazie a cui non entra mai – o solo parzialmente – in competizione con una altra specie che vive nello stesso habitat. Andando alle isole, la barca sfila davanti all’enigmatico candelabro, una gigantesca figura a tre braccia incisa sulle colline sabbiose della costa, in epoca pre-incaica, alta più di 150 m e larga almeno 50
Nel pomeriggio faccio tappa all’ oasi di Huacachina.
Da quando l’ho vissuta per la prima volta ho sempre pensato che durante la creazione del mondo al buon Dio fosse avanzato un pezzo di Sahara e lo abbia deciso di sistemarlo da queste parti. Scherzi a parte, l’effetto è però quello. Mentre risalgo faticosamente a piedi una duna, mi dó del cretino, perché ogni volta ci casco, nel sottopormi a questo esercizio fisico che potrei risparmiarmi salendo su una dune buggy, il veicolo adattato per muoversi veloce sulla sabbia. Però è meglio sentire il ritmo del proprio respiro che il ruggito di un motore, che romperebbe la magica atmosfera di questo posto.
E’ sempre una impareggiabile visione l’oasi vista dalla cima di una duna raggiunta con le proprie gambe, mentre il tramonto scivola sul deserto. Arrivo la sera tardi a Nasca, raggiunta con il bus da Ica e mi infilo subito nel letto della mia stanza nella Casa Andina.
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4° giorno: Nasca – Arequipa (Km 580 – circa 9 ore di viaggio)
Oggi voglio provare una alternativa al volo sulle linee di Nasca e mi faccio accompagnare da Pedro, la mia guida quotidiana, a Cahuachi, dopo un tragitto di poco più di mezz’ora in mezzo a un panorama desolato. Come italiani dobbiamo essere fieri, in quanto è grazie all’opera del “nostro” Giuseppe Orefici, che si è scoperto questo centro cerimoniale che si doveva estendere per 24 km² e che si ritiene fosse uno dei centri religiosi più antichi d’America, in vita dal 400 a.C per circa 800 anni.
E’ una cittadella costruita in adobe, un sapiente impasto di argilla, sabbia e paglia essiccati al sole, la materia prima dei mattoni con cui ancora adesso, in alcuni parti del mondo, si costruiscono case e altri immobili. Ammiro gli edifici cerimoniali: la Grande Piramide, alta 28 metri e larga 100, il Grande Tempio, il Tempio a gradini e i Tumuli. Pedro si dilunga nel racconto e ne approfitto per farmi ricordare le principali civiltà che hanno preceduto gli Inca, tra cui quella di Paracas (800-500 a.C) e quella di Nasca (200 a.C. – 600 d.C.).
Nel pomeriggio mi aspetta l’interminabile spostamento per raggiungere Nasca (10 ore di viaggio). Sarà per la comodità dei sedili, degli snack serviti a bordo, delle letture e di un paio di video che mi ero caricato sul mio Ipad, ma il viaggio vola. Arrivo ad Arequipa in nottata.
Se vuoi approfondire dal mio blog:
√ Le linee di Nasca >>
5° giorno: Arequipa
Amo Arequipa per tre motivi. I primi due sono puramente per una questione cromatica. Il bianco è il colore principale di molti degli edifici del centro storico, costruiti con un candido sillar, una pietra vulcanica. Non per niente Arequipa è soprannominata la ciudad blaca. Questo candore è contrastato dalle incredibili tonalità del Monastero di Santa Caterina. Qui dominano il rosso e il blu accesi presenti sui muri dell’imperdibile edificio religioso, costruito alla fine del 1500 in stile moresco. Capitando di martedì, aspetto il tramonto e lo visito percorrendo i viottoli e i corridoi illuminati a lume di candela, come facevano le sue abitanti secoli fa. Il mercoledì è l’altro giorno della settimana in cui è possibile godere del monastero dopo il calar del sole.
Il terzo motivo di gioia è il pittoresco Mercado di San Camilo, uno dei miei preferiti in Perù. Mi infilo dopo un incontro di lavoro e passo in rassegna le incredibili varietà di mais e di patate che si possono vedere qui. Sono una parte infinitesimale di quelle presenti in Perù, ma è sufficiente per capire la ricchezza della biodiversità agricola.
Ovviamente le bancarelle offrono non solo patate e mais ma anche una varietà incredibile di succosa e coloratissima frutta e tanta, invitante verdura. Un angolo del mercado è dedicato al ristoro.
Ti consiglio di provare degli gustosissimi e freschi frullati di frutta fatti al momento come quello di lúcuma (il mio preferito) di guanábana o di camu camu (non è facile da trovare, viene dalla foresta amazzonica) o l’ottima papaya locale.
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6° giorno: Arequipa – Chivay
Parto di buon mattino per l’escursione al Cañon del Colca, un’altra zona del Perù che adoro in modo particolare, sia per l’aspetto naturalistico che per quello “etnico”. Condivido il minivan con altri viaggiatori, una coppia canadese e tre amici francesi. Poco dopo esserci lasciati alle spalle Arequipa, entriamo nella Riserva Nazionale di Salinas y Aguada Blanca.
Quasi a darci il benvenuto nell’area protetta, c’è un gruppetto di vigogne sul ciglio della strada che, al nostro arrivo, si spinge su un pianoro all’interno, a distanza di sicurezza. Scendiamo per immortalarle nelle nostre macchine fotografiche e nei nostri smartphone.
La strada scorre tra splendidi scenari andini: ampie vallate a prateria interrotte da lagune popolate da diverse specie di uccelli, tra cui scorgiamo, in una delle soste, un gruppetto di fenicotteri. La strada sale abbastanza dolcemente sino a raggiungere il Mirador di Chucura (Mirador de los volcanes) sul Passo Patapampa.
Siamo a quasi quasi 5000 metri, per l’esattezza 4910 metri, 100 metri più alti del monte Bianco! Scendiamo per ammirare un superbo panorama. Siamo infatti circondati da tantissime vette vulcaniche; la più alta è di 6288 metri e appartiene all’Ampato, lo scenario dove venne sacrificata “Juanita”, la fanciulla inca il cui corpo mummificato è ora ospitato al Museo de los Santuarios Andinos di Arequipa.
Ovviamente la rarefazione dell’ossigeno si fa sentire. Prima di arrivare qui, abbiamo fatto una sosta a Patahuasi per sgranchirci le gambe e mangiucchiare qualcosa. Alcuni di noi hanno bevuto, preventivamente, il mate de coca, famoso coadiuvante per prevenire il male dell’altitudine.
Dal passo la strada perde quota velocemente; un paio di soste veloci per ammirare delle viscachas, la marmotta andina, e ci ritroviamo a Chivay a “soli” 3.600 metri slm. Mi sistemo alla Casa andina Colca e prendo un tuk tuk per andare alle terme.
Qui apro una parentesi per parlare di un mezzo di trasporto, il tuk tuk appunto , che spopola a Chivay. E’ un classico Ape car, che ogni proprietario personalizza sbizzarrendosi con la fantasia. E’ effettivamente un inno alla creatività, il risultato finale dell’operazione. Dovrebbero istituire un annuale concorso per eleggere la migliore trasformazione; in attesa, se capiti da questa parti, riempiti la memoria dello smartphone o della macchina fotografica ritraendo queste opere d’arte su tre ruote.
Le terme di Chivay sono veramente una bella goduria. Sono una serie di piscine all’aperto, in cui starsene al calduccio immersi nel tepore dei 38°C delle acque termali, con il volto rinfrescato dalla frizzante aria dei 3600 metri di altitudine. Ripongo i miei abiti in uno degli armadietti di legno affrescati a mano che circondano due delle piscine e mi ritrovo a mollo a godere il panorama circostante.
La “fatica” del bagno termale mi ha messo appetito, così mi dedico con grande attenzione al ricco buffet, in cui trovo praticamente di tutto, a El Balcon de Don Zacarias, sulla Plaza de Armas de Chivay. Non c’è che dire, ottimo rapporto qualità/prezzo!
Se vuoi approfondire:
√ Tour nel Cañon del Colca >>
7° giorno: Chivay-Puno
L’obbiettivo della giornata è raggiungere la Cruz del Cóndor, nel cuore del canyon del Colca, uno dei pochi posti al mondo dove, in stagione, si è quasi sicuri di ammirare il regale volo dei grandi rapaci. Per la cronaca il Colca, con i suoi 3270 metri, è grande due volte il più noto Gran Canyon americano, ed è considerato il secondo Canyon più profondo al mondo, dopo il vicino Cotahuasi.
Facciamo una sosta a Yanque, il primo villaggio che troviamo subito dopo essere partiti da Chivay. L’aria è fredda vista anche l’ora mattutina, ma l’atmosfera è riscaldata da un gruppetto di danzatrici vestite in abiti tradizionali, che intrattiene i turisti esibendosi nella Wititi, la danza tipica del posto, nella piazza principale del paese.
Facciamo poi un paio di soste per ammirare il paesaggio; la vallata ospita circa ben 8000 ettari di terrazze di origine pre-incaniche, utilizzate per coltivare patate, quinoa, mais. Mi stupisco sempre pensando come, lo stesso problema, in questo caso rendere coltivabile un terreno in pendenza, sia stato risolto nell’identico modo – creando terrazze – da gente vissuta in ambienti tra loro distanti migliaia di chilometri, senza comunicare. Pensiamo ai nostri terrazzamenti, di cui noi italiani siamo maestri in Europa. Un fenomeno di “convergenza evolutiva”.
Partire relativamente presto da Chivay non serve molto… Pensavo di essere uno dei pochi fortunati ad ammirare le evoluzione dei condor al Mirador e mi ritrovo invece a condividere lo spazio con decine persone, desiderose di avvistare i rapaci. In attesa di vedere l’uccello con la più grade apertura alare del Pianeta (circa 3 metri di ampiezza), mi guardo attorno. Il posto è splendido: più di 1000 metri sotto di noi scorre il Rio Colcano, sopra di noi occhieggia il Nevado Mismi.
Poco dopo ecco i primi esemplari. Complice l’aria che si sta scaldando, due maestosi uccelli escono dai loro nidi e, sfruttando le correnti termiche ascensionali, si alzano in volo per andare a cacciare. Nel canyon, affermano le guide, vivono circa 45 esemplari. Un gruppo di turisti ha una fortuna sfacciata. Un condor si posa infatti su una roccia poco distante da loro, così vicino che potrebbero quasi farsi un selfie con il rapace. Buon per loro!
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Al rientro facciamo una sosta a Maca che, a mio parere, ospita la più bella chiesetta del canyon. E’quella di Santa Ana, in stile barocco e ricostruita nel 1759, dopo che un incendio bruciò la precedente. La chiesa è attorniata da un mercatino a beneficio dei turisti, dove è possibile farsi immortalare con un aquila o accanto a un gigantesco e candido gufo (che rabbia vederli così, privati delle loro libertà), o un piccolo di alpaca. Tutti i locali sono vestiti con costumi tradizionali.
Il tempo di arrivare a Chivay e all’una e mezza prendo il bus 4 M per Puno. Il tragitto è molto bello, il pullman è veramente comodo con vetrate panoramiche e mi godo così alcuni splendidi paesaggi che attraversiamo. Arriviamo prima di cena e raggiungo l’hotel Conde de Lemos Puno.
La sera mi dedico a uno dei piatti più tradizionali peruviani, un gustoso e abbondante lomo saltado, ossia straccetti di manzo saltati con cipolla e pomodori.
8° giorno: isola di Taquile – Lago Titicaca
Una delle migliori esperienze (almeno per me) che si possono fare in Perù è quella di passare una notte ospitati presso le famiglie di una delle due principali isole del lago Titicaca: Taquile e Amantani. Avendo già provato questo piacevole momento nella seconda, la scelta di Taquile è obbligata.
Mi ritrovo così nella casa di Felipe, che mi ha accolto in vestito tradizionale, camicia bianca con gilerino e un lungo e variopinto cappello di lana ripiegato sul capo, calzoni neri. La stanza è ben arredata, con la finestra vista lago e un letto ricco di coperte (capirai perché).
Accompagnandomi lungo i sentieri dell’isola, Felipe mi racconta dell’organizzazione sociale di Taquile. Nell’isola vige l’ayllu, ossia non esiste la proprietà privata delle terre ma solo quella collettiva. Gli appezzamenti da coltivare vengono quindi distribuiti senza alcuna distinzione tra le famiglie.
E’ un modo per evitare che ci siano privilegiati. L’agricoltura è la principale fonte di sostentamento degli abitanti di Taquile e gli immancabili terrazzamenti hanno consentito di aumentare le superfici coltivabili per produrre patate, mais, fagioli e quinoa.
A questi si aggiunge la pesca, che contribuisce a arricchire di proteine la dieta degli abitanti. A Taquile non esiste l’energia elettrica. Solo da poco, le case (e non tutte) sono dotate di pannelli fotovoltaici, ma candele e torce sono ancora i sistemi di illuminazione principali.
Quindi, se decidi di passare una notte qui, così come ad Amantani, ricordati di portare eventualmente batterie supplementari o di ricarica per i tuoi strumenti elettronici. Da un po’ di tempo la ricchezza locale è aumentata grazie al turismo.
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A cena la zuppa di patate e quinoa è ottima, così come la frittata e la ciambella servita come dolce.
Mangio però con il piumino, guanti e cappellino di pile. Le case di Taquile, così come quelle della maggior parte delle abitazioni in Perù, non hanno infatti riscaldamento. E’ l’unico posto al mondo dove sono passato in pochi minuti da t-shirt, calzoncini e sandali a scarponcini, strati di pile, piumino! L’esperienza però merita, te lo assicuro!
Lo strato di coperte fa il suo dovere; l’unico momento “particolare” è stato però cambiarsi per andare a letto. La tentazione di infilarmi vestito sotto le coltri è stata forte J
Se vuoi approfondire dal mio blog:
√ Lago Titicaca >>
√ isola di Taquile >>
√ isola di Amantani >>
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9° giorno: Taquile – Puno
Al mattino, dopo colazione (scordati il cappuccino 😉 faccio visita alla cooperativa di Taquile, nella piazza principale dell’isola. La gente del posto è nota per tessere alcuni dei tessuti più belli del Perù, qui creati da uomini e donne. Anche gli uomini, oltre a filare la lana, lavorano a maglia i loro tipici cappelli conici (chullos).
Già all’età di 10 anni, mi spiega Felipe, un ragazzino è in grado di lavorare a maglia il suo chullo che, a seconda dello stato nuziale, può essere rosso (se è sposato) o con degli inserti bianchi (se è single).
Un’altra caratteristica dell’isola e la possibilità di convivere prima di sposarsi. Un modo per provarsi vicendevolmente tra uomini e donne. Felipe mi racconta che non è così infrequente che, dopo un periodo di vita sotto lo stesso tetto durante il quale è nato anche un pargolo, la coppia decida di ritornare alle famiglie di origine e di non proseguire con la convivenza.
Nelle prime ore del pomeriggio riprendo la barca per rientrare a Puno. Ripenso a Taquile, alla sua gente, a Felipe… gran belle giornate!
10° giorno: Puno – Cusco
Oggi mi attende il lungo trasferimento da Puno a Cusco con l’Inka Express. Sono 10 ore di viaggio che passano però molto velocemente, sia per la comodità del bus e del pranzo a buffet compreso nel biglietto, ma anche delle tre soste a Pukara, Raqch e Andahuailillas, molto interessanti dal punto di vista storico e architettonico.
La visita alla famosa Iglesia di San Pedro a Andahuailillas, a mio parere, vale da sola questo viaggio. Prima di entrare mi viene offerto (gratuitamente) un CD contente tantissime foto in quanto nella chiesa, conosciuta come la “Cappella Sistina d’America”, è vietato fotografare.
L’interno è sin troppo “abbondante”. Non amo il barocco, tuttavia la chiesa, costruita dai gesuiti nel XVI secolo, mi affascina e incanta per la ricchezza di particolari, come gli altari in cedro dorato o gli affreschi della fine del 1700 e le tele del 1800 raffiguranti la vita di San Pietro.
Alzo gli occhi per ammirare il ricchissimo soffitto, nel quale lamine d’oro ricoprono motivi floreali. La nostra guida sottolinea che gli autori di buona parte di questi tesori sono sconosciuti indios e ci mostra il battistero, all’entrata, con un’iscrizione in cinque lingue: latino, spagnolo, quechua, aymara e pukina.
Arrivo a Cusco a metà pomeriggio e recupero velocemente la via per l’hotel San Agustin International, che mi ospiterà per queste notti.
Per la cena non c’è che l’imbarazzo della scelta, considerando che mi trovo nella città più turistica del Perù. Opto per Cicciolina, dalle origini italiane, che propone però una cucina peruviana rivisitata e diversi piatti che strizzano l’occhio al nostro Bel Paese. Evito il cuy (il porcellino d’india) e il filetto d’alpaca e scelgo il pesce, di provenienza amazzonica (confesso che non mi ricordo il nome). Delicatissimo!
Nell’attesa mi gusto un ottimo Pisco Sour, divertendomi a osservare i movimenti quasi sincronizzati dei cuochi che, nella cucina a vista nel locale, spignattano in uno spazio relativamente ristretto senza darsi reciproco fastidio. Bravissimi sia nell’esecuzione dei piatti, sia nell’evitare di darsi fastidio vicendevolmente!
Se vuoi approfondire dal mio blog:
√ La tratta Puno – Cusco >>
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11° giorno: Cusco e dintorni
La giornata di oggi è dedicata alla visita di Cusco e dei suoi dintorni.
Quello che mi impressiona è la capacità costruttivi degli Inca, il cui impero viene datato dal XIII al XVI secolo.
E’ vero che, creando un ipotetico ponte temporale con l’Europa, il Vecchio Continente era avanti quasi anni luce per quanto riguarda la raffinatezza degli edifici.
Rimango però decisamente impressionato davanti alla Fortezza di Sacsayhuamán, famosa per le sue enormi pietre che formano le pareti esterne del complesso. Alcune di loro sono alte 5 metri, spesse 2,5 e pesano dalle 90 alle 120 tonnellate.
Sono incastrate talmente bene che nelle congiunzioni non passa neanche un foglio di carta. Basta vedere una foto con una persona vicina a una di esse per far capire le dimensioni.
Un’altra prova della maestria degli inca è la pietra a dodici angoli di diorite verde che fa parte del muro in calle Hatun Rumiyoq a Cusco. Composta da più massicci blocchi di pietra, la parete è stato costruita senza l’ausilio di malta o alcun tipo di materiale legante. Ogni blocco è stato tagliato per adattarsi perfettamente a tutti gli altri circostanti, richiedendo una scrupolosa cura e attenzione ai dettagli. In effetti, le giunture del muro sono modellate in modo così preciso che anche qui, centinaia di anni dopo la sua prima costruzione, la prova del foglia di carta ha successo. Fantastico!
Dedico una buona parte del pomeriggio a un salutare “cazzeggio” nel barrio de San Blas, il quartiere più suggestivo, pittoresco e “leccato” di Cusco, a pochi passi da Plaza de Armas, favorito dal fatto che molte strade sono pedonali e fiancheggiate da studi di artisti, laboratori di artigiani, ritrovi per turisti, molti dei migliori bar e ristoranti e un eccesso di ostelli.
Se vuoi approfondire:
√ Cosa vedere a Cusco >>
√ Qenqo, centro di culto alla Pachamama (Madre Terra in quechua) >>
√ Puka Pukara, un rifugio utilizzato dai messaggeri inca per riposarsi ma anche fortezza militare >>
√ Tambomachay, un centro dedicato al culto dell’acqua >>
√ Sacsayhuaman, ancora oggi oggetto di studi archeologici >>
12° giorno: Valle Sacra – Aguas Calientes
Sulla strada per Ollantaytambo, da cui salirò sul treno per andare ad Aguas Calientes, base di partenza per raggiungere Machu Picchu, trovo quattro chicche che valgono sicuramente l’escursione in valle Sacra.
La prima è la visita alla piccola chiesa di Chinchero. Entrando non avrei mai immaginato che sarei uscito solo dopo tre quarti d’ora, volati a sentire i tanti particolari che Luz, la mia guida della giornata, mi fa cogliere. La chiesa è infatti un perfetto esempio di sincretismo religioso, ossia come la religione tradizionale Inca è sopravvissuta combinandosi con la simbologia cattolica.
Ad esempio, nei dipinti e nelle sculture, la vergine è ricoperta dalla testa ai piedi da un mantello che le conferisce una forma triangolare. Nel mondo andino il trangolo è una rappresentazione degli Apu, le montagne sacre. Così quando gli indios portavano la vergine in processione, adoravano anche le loro montagne.
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Quando gli spagnoli seppero che le montagne erano divinità sacre per i locali, vi misero sopra delle croci (che ancora oggi è possibile vedere), come forma di imposizione della religione cattolica sui luoghi sacri andini. Anche la presenza del serpente nelle pitture ha un doppio significato. Per la religione cattolica il rettile significa peccato, mentre per gli inca, il serpente simboleggia il mondo sottostante o il mondo dei morti (l’Ukhu Pacha).
La seconda chicca sono le spettacolari saline incaiche di Maras, ricavate sul pendio di una montagna e ancora oggi utilizzate dagli abitanti del villaggio per l’estrazione del sale. Dal punto di vista scenografico sono veramente spettacolari, imperdibili in una giornata di sole, con il pendio della collina che le ospita che si trasforma in un gigantesco e incredibile caleidoscopio.
Moray è la terza chicca. Ancora adesso gli scienziati si meravigliano della tecnologia utilizzata qui dagli Inca in quello che si ritiene fosse un centro di ricerca agricolo. Sono infatti state utilizzate 4 depressioni naturali, lungo un pendio di 150 metri, per creare delle terrazze circolari concentriche. Il risultato fu così la creazione di differenti micro-climi, perfetti per coltivare diverse piante impossibili da coltivare a questa altitudine.
Nel primo pomeriggio raggiungo Ollantaytambo e visito con Luz il maestoso sito archeologico con il tempio del sole. Alla fine mi rimane un’ora prima della partenza del treno per Aguas Calientes, che utilizzo per uno splendido giro a piedi nella cittadina, la quarta chicca della giornata. Ollantaytambo è infatti l’unico centro peruviano ad avere conservato la planimetria urbana Inca. Camminando lungo le sue caratteristiche strade acciottolate, ammiro molte case che risalgono ai tempi degli Inca e il sistema di canali che serviva per portare acqua alla città.
Arrivo ad Aguas Calientes e, dopo cena, mi incontro con Hugo, la mia guida per Machu Picchu, per stabilire l’orari di ritrovo per la visita alla cittadella.
Se vuoi approfondire dal mio blog:
√ Leggi il mio post sulla Valle Sacra >>
√ Leggi il mio post su Chincero>>
√ Leggi il mio post sulle saline di Maras >>
√ Leggi il mio post su Ollantaytambo >>
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13° giorno: Machu Picchu
All’alba sono in coda davanti ai cancelli di ingresso a Machu Picchu, in attesa che siano aperti. Mancano 5 minuti e c’è veramente tanta gente, mattiniera come me.
Una volta entrato, rivedo con Hugo la cittadella, ma il vero obiettivo della giornata sta sopra, a 3038 metri di quota. E’ la cima di Montaña Picchu che, assieme a Huayna Picchu, rappresenta il modo per sgranchirsi le gambe e osservare Machu Picchu dall’alto, con la stessa prospettiva che avrebbe un condor in planata (vabbè, forse esagero, ma il concetto è questo ;-).
Saluto e ringrazio Hugo e allungo verso l’inizio della salita, superando il casottino di controllo. Il sentiero si inerpica tra la boscaglia e ammiro lungo il percorso vasti tratti lastricati dagli Inca. Verso la fine ci sono delle funi di sicurezza che aiutano a superare dei tratti decisamente ripidi. Arrivo in cima in 48’, ho fatto una tirata ma sono contento così; sono allenato il giusto.
La cima è avvolta dalle nuvole; temporeggio aspettando che il cielo si apra e mi faccio immortalare in una foto ricordo da una coppia di New York. Il vento gioca a mio favore così, per lunghi attimi, mi viene regalata la vista di Machu Picchu e della vallata sottostante quasi sgombra dalle nubi. Impressionante!
Rientro nella cittadella; sto bene di gambe, così decido di proseguire a piedi sino ad Aguas Calientes. Il sentiero taglia i tornanti e arrivo in poco tempo al ponte da cui, attraversato l’Urubamba, inizia la lunga tratta pianeggiante che mi fa rientrare alla base. Sul treno, ringrazio la sorte che mi ha regalato un posto accanto al finestrino sulla destra del vagone. Mi godo così la spettacolare vallata dell’arrembante Urubamba. Arrivo in prima serata in hotel a Cusco e consumo un veloce cena a base di tapas, innaffiate dalla mitica Cusqueña Negra, la birra scura locale, anche perché mi aspetta ancora una sveglia molto anticipata.
Se vuoi approfondire dal mio blog:
√ Leggi il mio post su Machu Picchu su come visitare la cittadella >>
√ Leggi il mio post su Huayna e Montaña Picchu >>
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14° giorno: Vinicunca
Cosa fanno una coppia di spagnoli, tre svedesi, due ecuadoriani, un croato e un italiano in un pullmino alle 4.30 del mattino in giro per Cusco? Non è l’inizio di una barzelletta, ma molto più semplicemente è la composizione del gruppetto con cui salirò oggi in cima al Vinicunca, la montagna colorata per eccellenza, alta più di 5000 metri.
La sveglia anticipata non aiuta a socializzare e il tragitto si svolge silenzioso sino a un casottino nella campagna, dove viene consumata la colazione a base di tè, un qualcosa di scuro che viene presentato come caffè e dei pani dolci. Ripartiamo per raggiungere, dopo una lunga tratta in salita, il parcheggio da cui si sale sul Vinicunca.
Andrés, la nostra guida, ci dà le istruzioni sul mal di montagna e si raccomanda più volte di camminare con il suo passo e di non superarlo. Ha comunque con sé una piccola bomba di ossigeno per ogni evenienza. Partiamo; il primo tratto è pianeggiante, poi il sentiero sale dolcemente senza strappi particolari.
Di tanto in tanto ragazzi e donne locali che incontriamo lungo il sentiero, ci offrono di salire sui loro cavalli per arrivare in cima senza fatica. Arrivati a metà del percorso, il nostro gruppetto è completamente sgranato; vediamo in lontananza la coppia di spagnoli che chiude, arrancando, la comitiva. Andrés li aspetta ma, rendendosi conto che non può bloccare tutto il gruppo, dà il via libera per salire autonomamente.
Con Thomas, il croato che scopro essere un tour operator come me, prendo il giusto ritmo: costante e cadenzato con il fiato, senza andare in affanno, anche quando alla fine il sentiero inizia a tirare. Ci dobbiamo fermare per coprirci: inizia infatti a nevicare. Estraggo dallo zaino il provvidenziale piumino che avevo messo nella borsa appena prima di partire e utilizzato a Taquile.
Il tempo cambia velocemente, le nubi si rincorrono ma, quando arriviamo in cima, il cielo è sufficientemente pulito. In una selletta, appena sotto la cima c’è un improvvisato posto di ristoro, riparato con un muretto a secco, dove un locale vende mate de coca e the. Mi fermo a parlare e, non so perchè, mi chiede il numero del giorno in cui sono nato. Rispondo 6 e mi dice “anch’io”; a mia volta gli chiedo il mese: “giugno” è la risposta, esattamente il mio stesso. A questo punto, incuriosito, gli chiedo l’anno: 1959. Noooo, incredibile! In cima al Vinicunca incontro un peruviano mio coetaneo, nato nel mio stesso giorno, mese e anno! Lo abbraccio e chiedo a Thomas di immortalare l’incredibile incontro.
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La discesa è tranquilla, baciata da sole e dal suo tepore che ci riscalda. Copro l’ultimo chilometro addirittura in maglietta. Il rientro a Cusco è abbastanza veloce, anche se ci troviamo un paio di volte imbottigliati nel traffico.
Per l’ultima cena in Perù, decido per l’Inkazuela, un ristorante specializzato in zuppe. Consigliato dall’ottimo e infaticabile Cesar, opto per una deliziosa casseruola di pollo, latte di cocco, curry e zucca e la cena viene chiusa divinamente con un superbo dolce alla maracuja. Da urlo!
Se vuoi approfondire:
√ Montagne colorate: Vinicunca o Placoyo? >>
15° giorno: Partenza
Ho la mattina libera e mi spingo al mercato di Wanchaq, non così famoso come quello di San Pedro (in cui ti consiglio di andare) ma sicuramente più economico e più frequentato dai locali. Si colloca tra la avenida Garcilazo con la avenida Huascar. All’interno si trova un po’ di tutto; oltre agli alimenti, anche articoli per la casa, artigianato, utensili.
Due sono però le sezioni che mi fanno impazzire. Passeggio pigramente tra le bancarelle di frutta che ospitano prodotti che arrivano da ogni parte del Perù ma anche dai vicini Cile, Bolivia e Ecuador e mi faccio dire dai venditori i nomi di alcuni frutti mai visti.
La parte più divertente è quella dedicata allo street food, dove assaggiare piatti deliziosi e ben preparati, come il cuy al forno, il choclo con queso (pannocchia di mais bollita con formaggio), anticucho (spiedini di carne). Anche qui una sezione è dedicata ai frullati: scelgo quello di lucuma, il mio preferito, e brindo idealmente al Perù “alla prossima”!
Programmi di Viaggio
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Scopri Chi Sono
Mi chiamo Roberto Furlani e lavoro con passione nel Turismo da 30 anni, di cui 15 passati a dirigere l’Ufficio Turismo del WWF Italia (Fondo Mondiale per la Natura) e 12 come Tesoriere di AITR (Associazione Italiana Turismo Responsabile).
Grazie anche a questa ricca esperienza sono oggi Responsabile Prodotto e Tour operator per Evolution Travel (il Network che conta più di 600 consulenti di viaggio on line), per cui ho creato più di 120 programmi di viaggio, con cui potrai scoprire il Centro-Sud America!
Troverai tutta la mia storia nel “chi sono”; aggiungo solo che per 22 anni sono stato giornalista pubblicista delle pagine scientifiche del Corriere della Sera. E’ stato così per me estremamente naturale dare vita al Travel Blog in cui ti trovi e creare più di 350 post e video che, spero, ti aiuteranno a conoscere e amare intensamente come me questa Regione del nostro Pianeta.
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